a cura di Giovanni Damiani e Matteo Di Stefano
Cosa sono tutte queste foglioline, come piace chiamarle a me, che invadono lo spazio e fanno vibrare i muri? L’artista, ricercando l’archetipo dell’idea di artificialità, trova nel muro, unità fondamentale di tutte le costruzioni nate per proteggere, un potente simbolo per poter dimostrare che la realtà è materia vibrante, viva e in perenne movimento. Si appropria di questo simbolo dell’umano e ne smaschera l’apparente solidità mostrandolo nudo nella sua caducità. Ma dovremmo risalire il corso, tornare alla fonte, passando anche per l’analisi di altre opere che sono in catalogo, per comprendere il nucleo del discorso da cui si dirama la trama del pensiero di Carlo. Le sue opere si nascondono, proprio come ama fare la verità. Si nascondo dietro una docile estetica della purezza, della limpidezza, del bianco e dei colori opachi, amici. Eppure qualcosa non torna, un palpabile senso di incertezza ci coglie davanti alle Impermanenze, ardui vortici in cui l’occhio, e dunque l’anima, si trovano a vagare senza fissa dimora. Qualcosa non torna, un senso di strazio ci accompagna via via che percorriamo il difficile torcersi della garza nei lavori che fanno parte del ciclo “Candida scorre la luce”. Un fluido candido scorrere, ma non per questo semplice e indolore. In fin dei conti anche il limpido placido fiume ha ferito la terra per scavarsi il letto in cui vivere. La tematica della fluidità e impermanenza dell’essere ritorna anche nelle sue sculture, in cui il sottile gioco di specchi crea un pozzo, sul quale affacciandosi sembra riecheggiare una frase: Solo chi si sporge sull’abisso dell’incerto avrà una coscienza aurea per tendere al reale.
La mostra, e il suo titolo, è nata da una camminata in montagna. Fu in quell’occasione, salendo per i ripidi e verdi dorsi dell’appennino umbro-marchigiano, che compresi nel lavoro e nella persona di Carlo l’atteggiamento di chi ha capito che lo studio dell’essere umano, e dei suoi grandi interrogativi che lo accompagnano fin dalla notte dei tempi, non può prescindere dallo studio e dalla ricerca dei significati, comportamenti e procedimenti del sistema natura, convinto che la natura è realtà, e che l’uomo ne è parte e figlio, e come figlio ne prende carattere e fisionomia. Mi venne dunque in mente, come un lampo, la parola Physis, termine di origine Greca con il quale i filosofi dell’epoca non intendevano semplicemente una natura come agglomerato di enti conoscibili e prevedibili, ma una natura come realtà viva, quasi cosciente. Continuavamo a camminare accompagnati dal silenzio, e mentre camminavamo continuavano ad affiorare i pensieri. Se la Realtà è Materia, e nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma, e se anche noi in quanto figli di questo sistema siamo Materia, allora a questo punto il grande angoscioso problema della morte diventa piccolo e lontano. Le molecole del nostro corpo, come tutte le molecole dei corpi di tutti gli oggetti, si dissolveranno e andranno a formare altri corpi; E se tutto è Materia, Physis sono anche gli oggetti artificiali come i muri e le strade. Soltanto che appaiono morti perché l’intervento dell’uomo ne ferma il movimento, il deterioramento. Li congela. Perfino i pensieri, intesi da una parte come energia cerebrale e, dall’altra, come preludio all’azione nel mondo, sono Physis.
Ma tutte queste riflessioni, nate dall’analisi dei lavori di Carlo e dal rapporto dialettico che ci unisce, sono mie personali e soggettive, e mai mi permetterei di consegnarle a voi sotto forma di dato certo. Mai vorrei arrogarmi il diritto di chiudere l’interpretazione della mostra entro le quattro mura edificate dal mio testo. Anzi, sono sicuro che alcune di queste riflessioni sono addirittura lontane dall’intento che muove l’artista nell’esprimere il pensiero in gesto, ma spero non me ne vorrà lui, consapevole che le opere sono figli maggiorenni. Piuttosto, queste, sono da leggere come intime osservazioni in cui confido su quali lidi mi ha sospinto la poetica di Carlo, e con le quali spero possiate giungere in altri lidi vostri ancor più lontani.
Giovanni Damiani
Carlo Rea official website: www.carlorea.com